Vincenzo Piccarreta, Avvocato, Avvocati Associati Franzosi Dal Negro Setti, Milano
Con sentenza resa il 14.1.2016 Il Tribunale di Milano ha condannato XXXX a risarcire a favore di YYYY 1.783.000 Euro oltre interessi e spese quale danno generato dalla violazione di un brevetto di cui YYYY è titolare. La sentenza è attualmente oggetto di giudizio di appello.
YYYY è una delle principali case di moda italiane. XXXX è una società di medie dimensioni operante nel settore della jeanseria e della moda giovane.
YYYY è titolare di un brevetto avente ad oggetto una soluzione tecnica destinata a migliorare la vestibilità di un particolare capo di vestiario.
XXXX ha pubblicizzato quel particolare capo di vestiario, dalla stessa XXXX prodotto, evidenziandone l’effetto tecnico oggetto del brevetto di YYYY.
Acquistato ed esaminato il capo in questione prodotto da XXXX, YYYY ha ritenuto che lo stesso riproducesse le caratteristiche rivendicate con il proprio brevetto ed ha agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano chiedendo l’accertamento della contraffazione.
Nel corso del giudizio è stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio, cui è stato delegato il compito di verificare la validità e la contraffazione del brevetto attoreo.
Quanto alla validità, la convenuta aveva obiettato l’assenza del problema tecnico di cui il brevetto deve offrire la soluzione, e quindi la stessa inesistenza di una invenzione tutelabile. A tal proposito, il CTU – ed il Tribunale di conseguenza – hanno dichiarato che l’obiettivo della realizzazione di un abito in grado di ridurre effetti di schiacciamento, di aumentare il confort e la gradevolezza estetica costituisce un valido problema tecnico.
La convenuta aveva inoltre eccepito la predivulgazione del trovato per mezzo dello stesso capo di vestiario accusato di contraffazione. A supporto di tale tesi aveva fornito il disegno dell’abito, deducendone una datazione anteriore rispetto alla data di deposito della domanda di brevetto. La CTU ed il Tribunale hanno però rigettato tale eccezione avendo escluso che detto disegno riproducesse gli insegnamenti brevettati. Il consulente del Giudice e, di conseguenza, il Tribunale, hanno d’altra parte riconosciuto l’interferenza tra il prodotto contestato presente sul mercato ed il brevetto.
Per quanto concerne le conseguenze dell’illecito, il Tribunale ha rilevato che l’attrice non aveva provato in modo adeguato di aver subito un danno. Ha tuttavia preso atto della circostanza che l’attrice aveva richiesto la restituzione dell’utile conseguito grazie alla contraffazione.
La quantificazione dell’utile conseguito dal contraffattore è stata effettuata dal Tribunale senza necessità di nominare un consulente contabile, ma semplicemente esaminando la documentazione contabile che era stata esibita in giudizio dalla convenuta. A tal proposito il Giudice ha innanzitutto conteggiato il quantitativo di prodotti venduti dalla convenuta. Ha poi determinato il costo di produzione tenendo conto dei soli costi variabili, come indicati da parte attrice e non contestati dalla convenuta.
A proposito dei costi fissi, che la convenuta pretendeva fossero considerati, il Tribunale ha rilevato: “È pur vero che taluno sostiene che, per stabilire il profitto del contraffattore, risulta necessario supporre che ricavi delle vendite dei prodotti contraffatti beneficino degli investimenti, delle spese generali e dei costi fissi che il contraffattore comunque sostiene (metodo del full costing); tuttavia si deve tener conto, da un lato, del fatto che non sempre chi contraffà un prodotto, produce o commercio a solo quello, con la conseguenza che l’incidenza dei costi fissi sarebbe in questo secondo caso assai marginale. Dall’altro che se nel calcolo del profitto da restituire al titolare si deduce dal ricavo del contraffattore la quota di competenza delle spese generali e dei costi fissi, il risultato è che la contraffazione potrebbe diventare conveniente, quantomeno per coprire detti costi. Perciò condividendo la ratio della disciplina europea per cui la finalità della retroversione degli utili e disincentivare la contraffazione, sembra preferibile limitare la deduzione ai costi variabili (salvo che nel caso della violazione inconsapevole, per la quale sembra più plausibile e coerente il metodo del full costing)”.
All’esito di tale esame, in applicazione dei citati criteri, il Tribunale ha quantificato l’utile conseguito mediante la contraffazione in 1.783.000 Euro ed ha condannato la convenuta a restituire detto importo, oltre interessi e spese di difesa, alla titolare del brevetto.