Secondo Andrea Feltrinelli – Avvocati Associati Feltrinelli & Brogi, Milano

Il 31 marzo scorso è entrato in vigore il “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70”, già pubblicato in dicembre dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom). Il Regolamento ha per oggetto la tutela delle “opere digitali” (intese come “opere o parti di esse, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore tutelate dal diritto d’autore“). L’Autorità non può procedere d’ufficio, ma solo su istanza dei “soggetti legittimati” (titolari o licenziatari di diritti d’autore o diritti connessi sulle opere digitali, oltre a non meglio individuate “associazioni di gestione collettiva o di categoria“). I destinatari dei provvedimenti dell’Autorità sono i “prestatori di servizi” (internet providers) che svolgono attività di hosting di contenuti digitali, e – solo se rintracciabili – i gestori di siti e pagine web, nonché i c.d. “uploaders” (i soggetti che caricano opere digitali in rete). E’ stata invece formalmente esclusa l’applicabilità del Regolamento agli utenti finali “che fruiscono di opere digitali in modalità di downloading o streaming, nonché alle applicazioni e ai programmi per elaboratore attraverso i quali si realizza la condivisione diretta tra utenti finali” . E’ tuttavia evidente che, una volta inibita una certa attività al provider (l’unica parte necessaria del procedimento avanti l’Agcom, ma anche quella che non ha, di regola, nessun interesse a resistere), l’utente finale ne sarà direttamente pregiudicato. Inoltre, molto spesso l’uploader coincide con l’utente finale che carica l’opera sul web per condividerla con altri. Non è quindi vero – come si afferma – che il procedimento è improntato al pieno rispetto del principio del contraddittorio né che l’utente finale ne è escluso. Il Regolamento introduce inoltre una sorta di alternatività imperfetta rispetto all’azione giudiziaria, perché il procedimento avanti l’Autorità non può avviarsi se “fra le stesse parti” è pendente, “per lo stesso oggetto“, una causa giudiziaria; tuttavia, se pende l’azione amministrativa, solo l’istante può farla cessare, agendo in sede giudiziaria. La procedura prevede che l’Agcom, ricevuta l’istanza, comunichi l’avvio del procedimento al provider, (e agli altri soggetti solo “ove rintracciabili“). La comunicazione contiene l’individuazione delle opere digitali presumibilmente illecite, l’esposizione sommaria dei fatti e “dell’esito degli accertamenti svolti” (che – dati i termini fulminei – sarà quasi sempre costituito da un mero rinvio all’istanza). Il termine per controdedurre è tale (cinque giorni, salvo proroghe), da rendere estremamente problematica l’effettiva difesa dei resistenti (quelli davvero interessati – ammesso che siano stati coinvolti – posto che, di regola, il provider si limiterà ad adeguarsi alle richieste). In caso di mancato “spontaneo adeguamento“, terminata l’istruttoria, l’Agcom può ordinare al provider la rimozione selettiva dei contenuti, nel caso in cui questi siano ritenuti illeciti e, qualora si tratti di “violazioni di carattere massivo” (che il Regolamento non chiarisce, lasciando quindi piena discrezionalità all’Autorità), l’ordine può essere anche – tout court – quello di oscuramento del sito. Per i siti ospitati su server all’estero, è stabilito solo l’ordine di disabilitazione dell’accesso al sito nei confronti dei provider di accesso. Il provider deve ottemperare all’ordine nel termine di tre giorni: in difetto sono previste pesanti sanzioni pecuniarie, oltre che la comunicazione del fatto alla polizia giudiziaria. Qualora inoltre, sulla base di una prima e sommaria cognizione dei fatti, l’Autorità ritenga che si configuri un’ipotesi di grave lesione dei diritti di sfruttamento economico di un’opera digitale, ovvero un’ipotesi di “violazione di carattere massivo” – che probabilmente diverrà la regola – è previsto l’esperimento di un procedimento abbreviato, con riduzione dei termini e conseguente ulteriore contrazione del contraddittorio tra le parti.
Il Regolamento ha scatenato ovviamente molte polemiche (e diversi ricorsi preventivi al TAR): è in effetti ormai preoccupante il vezzo di affidare a poco trasparenti Autorità amministrative (sempre di nomina politica) delicate funzioni giurisdizionali – che dovrebbero essere riservate all’Autorità Giudiziaria e quindi alle garanzie del contraddittorio processuale – con serio rischio di abusi e di ingiusta compressioni dei diritti.

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