Secondo Andrea Feltrinelli,  Avvocato – Partner Feltrinelli & Brogi, Milano

Nella più assoluta indifferenza delle forze politiche, organizzazioni imprenditoriali, media e quant’altro, lo scorso 19 febbraio i rappresentanti dei governi europei (con la sola eccezione di Spagna e Polonia), hanno sottoscritto l’Accordo istitutivo della Corte dei Brevetti Europei (qui di seguito “Accordo”), a completamento del “pacchetto” in tema di Brevetto Europeo Unitario per l’Unione Europea (qui di seguito “Brevetto Unitario”), approvato – in regime di c.d. “cooperazione rafforzata” (cioè senza l’accordo unanime di tutti i Paesi unionisti ed in particolare, nello specifico, senza il consenso di Italia e Spagna) – con i Regolamenti (UE) 1257/2012 e 1260/2012, entrambi del 17.12.2012.

In breve, l’Accordo stabilisce che tutte le controversie  in materia di validità e contraffazione (compresi i procedimenti cautelari di ogni tipo: sequestri, inibitorie, descrizioni) riguardanti Brevetti Europei – rilasciati sia con la procedura ordinaria che come Brevetti Unitari per l’UE, cioè tutti – siano di competenza esclusiva di un’unica Corte Europea (qui di seguito “Corte”), con una sola sede centrale a Parigi e due sezioni distaccate, rispettivamente a Monaco e Londra, ciascuna operante in base ad una suddivisione di materie che lascia molto perplessi, per la sua sostanziale casualità. Forse anche per il fatto di non aver (ancora) aderito al sistema del Brevetto Unitario, il nostro Paese – certo il più penalizzato dall’Accordo, fra le grandi realtà industriali europee – è stato quindi totalmente escluso dalle sedi della Corte, circostanza invero stupefacente se si considera che, anche per l’elevato numero di cause brevettuali annualmente pendenti, l’Italia è certo uno dei Paesi più importanti di tutta l’Unione Europea.

L’Accordo prevede anche la costituzione di Divisioni Locali (a livello statale) e Regionali (fra due o più Paesi) della Corte, con un massimo di quattro per ogni Paese, ma tali Divisioni non potranno giudicare sulle domande di nullità e di accertamento di non contraffazione del brevetto – di competenza esclusiva della sede centrale della Corte – se non in via riconvenzionale, in una causa di contraffazione (con facoltà della Divisione locale, in tal caso, di sospendere il giudizio di contraffazione e rinviare quello di nullità alla sede centrale). Inoltre, qualora l’asserita contraffazione si estenda su di un’area piuttosto vasta dell’UE (quella di tre o più Divisioni regionali) – tipico caso delle società multinazionali – il preteso contraffattore avrà facoltà di trasferire la causa alla sede centrale.

Una causa potrà essere introdotta presso la Divisione del luogo in cui ha sede il convenuto (forum rei) o in cui si è verificata – o sta per verificarsi – la pretesa contraffazione (forum commissi delicti). Le sentenze (come i provvedimenti d’urgenza) della Corte – sia della sede centrale che delle Divisioni locali – avranno efficacia simultaneamente in tutti i Paesi dell’UE, al pari della decisione di un tribunale nazionale. Parimenti, la Corte avrà i medesimi poteri istruttori, inquisitori e di condanna di un tribunale nazionale di ciascuno Stato Membro dell’UE aderente all’Accordo.

Presso le Divisioni locali (e quelle regionali) la lingua di procedura sarà quella del Paese in cui ciascuna Divisione ha sede (o quella concordata fra i Paesi che hanno costituito una Divisione Regionale): tuttavia, tali Paesi potranno anche decidere di optare per una delle lingue ufficiali dell’EPO (inglese, francese o tedesco). Presso la sede centrale della Corte la lingua di procedura sarà quella in cui è stato concesso il brevetto europeo. Contro le sentenze della Corte di primo grado si potrà proporre gravame presso un’unica Corte d’Appello, con sede a Lussemburgo e la  lingua di procedura sarà quella del giudizio di primo grado.

L’Accordo entrerà in vigore il 1° gennaio 2014 o quattro mesi dopo la sua ratifica da parte di almeno tredici Paesi Europei, se tale data è successiva alla prima.

Non è difficile immaginare le gravi difficoltà che – con ben poche eccezioni – questo regime provocherà alle PMI italiane, costrette ad affrontare gli alti costi ed i disagi inevitabilmente derivanti dalla necessità di difendersi quasi sempre all’estero, davanti a giudici stranieri (spesso della medesima nazionalità dei loro avversari), che, al termine di procedimenti interamente gestiti in una lingua straniera, emetteranno decisioni efficaci sull’intero territorio dell’UE, con conseguenze potenzialmente devastanti. Non resta quindi che augurarsi che il nostro Parlamento rifletta attentamente prima di ratificare un Accordo ancora una volta così penalizzante per l’industria italiana.

                                                            

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