Angela Zampetti Avvocato e Consulente in Marchi e Modelli e Emidia Di Sabatino, Avvocato
Luppi & Crugnola Srl Modena, Bologna, Milano

Tra gli strumenti di enforcement previsti dal nostro codice di proprietà industriale, l’inibitoria  cautelare, ai sensi dell’art. 131 C.P.I. si rivela quello più efficace per il titolare della privativa in quanto, oltre alla cessazione immediata dell’illecito, scongiura l’aggravarsi degli effetti dannosi della violazione, riaffermando il regime di esclusiva del titolare del diritto violato, con efficacia deterrente nei confronti del contraffattore, anche grazie alla fissazione di penali che spesso accompagnano la misura. Come è noto, l’inibitoria cautelare è un provvedimento anticipatorio degli effetti della decisione di merito con tendenziale carattere di stabilità. Inoltre, l’inibitoria ha una efficacia precettiva immediata, con la conseguenza che da essa scaturisce la rilevanza immediata dell’inottemperanza al precetto e, quindi, la istantanea attuabilità del provvedimento sanzionatorio ad essa accoppiato. Senza contare che l’ordinanza cautelare costituisce un titolo immediatamente spendibile in sede esecutiva.

Proviamo ora ad analizzare un caso pratico che mostra in concreto la funzionalità di tale strumento processuale. Una nostra cliente, società operante nel settore delle vernici edili e titolare di alcuni marchi figurativi, registrati sia in sede nazionale che in sede europea e tutti aventi quale nucleo distintivo una dicitura corrispondente alla propria denominazione sociale, era venuta a conoscenza del fatto che una società concorrente aveva iniziato la commercializzazione nel territorio italiano di vernici, con una denominazione sociale simile alla propria, nonché utilizzando il relativo segno come domain name e in funzione di marchio di fatto.

Fallito ogni tentativo di risolvere la vertenza in via bonaria, ricorrendone a nostro avviso tutti i presupposti, consigliavamo alla cliente di agire avanti alla sezione in materia di Impresa del Tribunale di Milano, lamentando la contraffazione e la concorrenza sleale, con richiesta di inibitoria assistita da penale, ritiro dal commercio, distruzione del materiale contraffattorio e pubblicazione dell’emanando provvedimento.

Tale strategia di attacco appariva fondata sotto il profilo del fumus boni iuris sulla base dei diritti prioritari di esclusiva vantati dalla nostra cliente. In particolare, costituivano un titolo particolarmente forte da opporre, le registrazioni europee in quanto assistite, ai sensi dell’art. 121 C.P.I. da una presunzione iuris tantum di validità considerata un riferimento privilegiato, trattandosi di registrazioni provenienti dall’EUIPO. Inoltre, la contraffazione era palese, a motivo dell’adozione e dell’uso di tutti segni distintivi successivi simili e confondibili da parte della resistente. Alla elevata somiglianza tra i segni sotto il profilo letterale e fonetico, si aggiungeva una inequivocabile identità merceologica dei prodotti, destinati alla medesima clientela, con conseguente rischio di confusione o di indebita associazione tra i segni in conflitto.

Anche sotto il profilo del periculum in mora la richiesta di inibitoria era ben motivata, occorrendo intervenire in via d’urgenza per limitare il pregiudizio derivante dal rischio di sviamento di clientela e di diluizione del valore dei marchi.

Pertanto, le condotte della concorrente integravano violazione dei diritti prioritari di esclusiva della cliente, ai sensi degli artt. 14 del Reg. CE n. 2017/2009, 20 comma 1 nn. 1 1ett. b) e II, 22, comma 1 C.P.I. e dell’art. 2598 n. 1 c.c.

In via residuale, in base all’orientamento per cui la contraffazione di un marchio può costituire anche e congiuntamente un’ipotesi di concorrenza sleale, se il comportamento impedisce la distinzione sulla origine dei prodotti creando confondibilità, veniva invocata la disciplina della concorrenza sleale confusoria dipendente ex art. 2598 n. 1 c.c.

Il Giudice accoglieva il ricorso cautelare con un ragionamento di sostanziale adesione alle tesi da noi proposte e inibiva alla resistente ogni ulteriore uso del segno contestato con qualsiasi modalità e con qualsiasi mezzo, anche come denominazione sociale e/o domain name, con fissazione di penale e condanna al pagamento delle spese (vedasi Trib. Milano, sez. spec. impresa, ordinanza del 13/04/2016 (RG n. 72446/2015) in DARTS – IP).

Avverso tale ordinanza, in costanza di inadempimento del dictum cautelare, la concorrente proponeva reclamo, ripresentando le medesime argomentazioni sostenute nella prima fase. Il Collegio tuttavia rigettava il reclamo con condanna delle spese di fase a carico della reclamante (vedasi Trib. Milano, sez. spec. impresa, ordinanza del 16/06/2016 (RG n. 24897/2016) in DARTS – IP).

Un cenno particolare merita il ragionamento con il quale il Collegio ha respinto l’eccezione avversaria di carenza di prova del pregiudizio motivando che: “l’inibitoria richiesta in via urgente è un rimedio che per sua natura consente di ulteriormente anticipare la tutela. Allo scopo è ritenuto sufficiente il percolo di compromissione della privativa industriale, ravvisabile – quanto al marchio – anche nell’ipotesi di rischio di associazione, ove cioè il pubblico possa credere che i prodotti o servizi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese collegate da rapporti di gruppo o contrattuali”. Ad avviso del Collegio, la prova del pregiudizio concreto costituisce un profilo eventuale e non necessario, rilevante solo in sede di valutazione del danno demandata alla fase di merito. Ed ancora: “Il pregiudizio lamentato si concreta nel rischio di imminente e irreversibile alterazione degli equilibri di mercato conseguenti alla interferenza con il segno del concorrente leale, e, contemporaneamente, nell’annacquamento della sua capacità attrattiva, nella compressione del messaggio pubblicitario e promozionale di cui il marchio contraffatto è portatore”.

Come accennato in premessa, al sussistere dei presupposti, l’inibitoria cautelare si dimostra un valido strumento per intervenire in tempi rapidi e in modo incisivo a tutela dei diritti che si assumono violati. E’ inoltre importante precisare che, in considerazione della stabilità dei provvedimenti cautelari, inclusa quindi l’inibitoria ex art. 131 C.P.I., anche nel caso in commento non è stato necessario introdurre il giudizio di merito per consolidare l’efficacia delle misure ottenute, peraltro rese particolarmente incisive dalla fissazione delle penali. Ricordiamo, infatti, che le penali sono indirettamente a presidio e a tutela dell’inibitoria, assumendo il valore di una efficacissima autonoma misura di prevenzione della contraffazione.

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