Maurizio Borghese, Avvocato – Borghese e Giordano Studio Legale Associato, Treviso – Napoli
Tradizionalmente si attribuiva al marchio, la funzione, unica, di indicazione di provenienza dei beni e servizi contraddistinti. Progressivamente, ne è stata riconosciuta una ulteriore ai marchi forti, dotati di capacità distintiva ed in particolare a quelli che godono di rinomanza, che costituiscono uno strumento di comunicazione in grado di veicolare una serie di suggestioni positive per il consumatore, tali da orientare le sue scelte di acquisto, salva diversa determinazione indotta da altri fattori, tra i quali la incidenza economica del bene di marca. Un segno immediatamente riconoscibile e famoso esplica, indirettamente, una funzione di garanzia e qualità, comprensiva, idealmente, di tutte le ulteriori informazioni riportate su etichette, cartellini o manuali di istruzioni.
Tra i motivi ostativi alla registrazione di un marchio vi è la idoneità di un segno ad ingannare il pubblico. L’inganno può riguardare, ab origine, la natura o qualità di un prodotto o verificarsi in ragione delle modalità di uso del marchio, che potrà, in tal caso, decadere per decettività sopravvenuta.
L’uso pubblicitario del marchio altrui, anche a mezzo internet, è consentito nel rispetto delle normative vigenti a tutela della leale concorrenza e dei consumatori, nonché di eventuali contratti di distribuzione. E’ stata sanzionata l’utilizzazione del marchio di una nota casa automobilistica, da parte di un rivenditore di auto di altre marche, in quanto giudicato un indebito agganciamento alla notorietà altrui, al fine di sfruttarne parassitariamente l’appeal.
In “Rete “ tali illeciti possono essere compiuti in maniera evidente, attraverso le vendite on line di prodotti contraffatti , con l’adozione di domain names corrispondenti o confondibili con marchi o nomi a dominio di terzi o con tecniche più sofisticate, presentate, apparentemente, quali espressione di pubblicità comparativa, per ottenere i benefici della visibilità, potenzialmente illimitata, di Internet.
In Italia, le norme regolatrici delle pratiche commerciali e pubblicitarie, compresa la comparativa, per la individuazione delle facoltà e limiti dell’uso di un marchio altrui, sono contenute nel Codice del consumo, conforme alle direttive comunitarie a tutela dei diritti dei consumatori. Norme da considerare unitamente a quelle del C.P.I. ed a quelle in materia di concorrenza , per le cui violazioni si potrà invocare,in via amministrativa, l’intervento della A.G.C.M. In via giudiziaria ordinaria è competente il Tribunale specializzato in materia di impresa.
Il ricorso ad entrambe le procedure è stato proposto da una nota società, attiva nel settore informatico, per contrastare l’uso dei propri marchi, alcuni dei quali registrati per contraddistinguere programmi di software, da parte di un concorrente che effettuava una comparazione online , tra i diversi prodotti, con modalità riconducibili solo formalmente ad una pubblicità.
L’ inserimento dei marchi della società maggiormente affermata, nel sito Internet della società concorrente – anche quali keyword nel codice sorgente della relativa pagina html – allo scopo di effettuare una pubblicità comparativa, in realtà simulata, accompagnata dallo slogan: “solo i migliori non temono paragoni”, produceva effetti idonei a sviare la clientela. Il legame tra i segni, determinava un automatico dirottamento, sul sito della società concorrente, di ogni utente che avesse effettuato una ricerca dei prodotti della società leader. In tal modo veniva evidenziata la convenienza all’acquisto dei programmi della concorrente, le cui caratteristiche e potenzialità, benché inferiori, erano enfatizzate, sotto i profili tecnico ed economico. Il secondo effetto era quello di una indicizzazione e quindi un “posizionamento” ottimale nel browser, da parte dei motori di ricerca, di tali programmi, senza fare neppure ricorso alle pratiche del cd. “pay per click”.
Nelle more del processo innanzi al Tribunale, l’ A.G.C.M., nel procedimento “parallelo”, emanava un provvedimento sanzionatorio per pubblicità ingannevole, fonte di discredito nei confronti di un concorrente e di distorsione nelle scelte dei consumatori.
Il giudizio di merito, instaurato all’esito della fase cautelare, con cui la ricorrente aveva ottenuto l’inibitoria nei confronti della controparte, di qualsiasi uso dei propri segni, si concludeva con il riconoscimento della fondatezza delle ragioni attoree, con esclusione delle richieste risarcitorie, in parte respinte. Il modus operandi della convenuta veniva giudicato illecito contraffattivo e concorrenziale, determinante confusione tra i prodotti per l’ utente medio di Internet, nonché appropriativo dei pregi altrui, denigratorio e causa di sviamento di clientela.