Paolo Di Mella, Trademark Attorney – Bugnion Spa, Bologna

Una società statunitense si era rivolta al nostro Studio lamentando la copiatura del proprio sito web da parte di una società italiana. Da un primo sommario esame della home page dei rispettivi siti emergeva, in effetti, una certa somiglianza quanto alla struttura, al design e alla disposizione grafica delle icone e delle immagini. Tuttavia, non si trattava di una pedissequa copiatura in quanto risultavano delle evidenti differenze nelle immagini, nei colori e nei testi così come differenze secondarie quali ad esempio l’assenza della barra di ricerca nel sito della società italiana.

Il caso di specie, quindi, non concerneva tanto la tutela del contenuto del sito (foto e testi), e nemmeno la tutela della scelta e organizzazione del contenuto, bensì la protezione del c.d. “look & feel”, inteso come l’aspetto risultante da una determinata combinazione di colori, forme, linee, che rende il sito immediatamente riconoscibile agli utenti internet.

Il dubbio che la società italiana potesse essere giunta a tale risultato grafico autonomamente, senza cioè trarre “ispirazione” dal sito della società terza, è subito svanito a seguito di un esame più approfondito del codice sorgente (con tale espressione si intende il linguaggio con cui viene scritta la pagina web ed in particolare l’insieme dei comandi, espressi in tag, che costituiscono i linguaggi di programmazione e che vengono tradotti dall’elaboratore nella pagina “visibile” del sito).

Difatti, nel codice sorgente del sito contestato era presente un tag html, identificante una sezione di un documento, che aveva lo stesso nome di un tag presente nel sito della società americana. Inoltre alcune immagini erano state identificate col medesimo nome in entrambi i siti, anche se aventi una diversa estensione. Per di più, da una indagine era risultato che la società italiana aveva visitato per ben 74 volte il sito della società cliente.

Tali indizi, nel loro insieme, dimostravano in modo inequivocabile che la ditta italiana aveva volutamente copiato il sito della società statunitense, preoccupandosi solamente di apportare delle modifiche al codice sorgente allo scopo di rendere meno manifesto l’illecito.

Si è ritenuto quindi di suggerire alla ditta statunitense l’invio di una diffida contenente la richiesta di cessazione immediata dell’utilizzo del sito nell’aspetto grafico contestato in considerazione del fatto che erano stati copiati quegli elementi grafici che, nel loro insieme, determinavano l’aspetto caratterizzante del sito della cliente e che costituivano, sempre nel loro insieme, opera dell’ingegno di carattere creativo tutelabile quindi attraverso l’istituto del diritto d’autore.

Vale ricordare che, per potersi avvalere di tale tutela, non è necessario un grado elevato di creatività essendo sufficiente l’individuazione di un minimo, ancorché non banale, apporto creativo. In questo caso la struttura dei contenuti della pagina, nonché la particolare disposizione delle icone e delle immagini erano il frutto dell’attività professionale di un web designer.

Da precisare che le società coinvolte nella disputa operavano in settori diversi tra loro (ossia trasporti e infrastrutture, da una parte, cura della persona, dall’altra), motivo per cui non poteva essere invocato l’istituto della concorrenza sleale che, come noto, presuppone un rapporto di concorrenza attuale o potenziale tra i soggetti.

Inutile dire che la società cliente non aveva provveduto a registrare il layout del proprio sito come design comunitario (che conferisce un diritto di privativa a costi contenuti e in tempi relativamente veloci) e che tale tutela risultava preclusa al momento dell’insorgere della disputa in quanto la divulgazione era avvenuta da anni.

Si sarebbe potuto agire avvalendosi anche dell’istituto del “design” comunitario non registrato (o di fatto) nell’ipotesi in cui il sito imitato fosse stato pubblicato da meno di tre anni, presupposto che nel caso di specie non ricorreva.

La lettera di diffida, regolarmente ricevuta dalla ditta italiana, ha sortito l’effetto sperato inducendo quest’ultima a modificare radicalmente il proprio sito.

Determinante per il successo della disputa in esame è stata senz’altro la presenza di elementi in comune nel codice sorgente dei siti, prova inconfutabile della copiatura.

Va da sé che nel caso la ditta statunitense avesse provveduto a tutelare il layout del proprio sito attraverso l’istituto del design (comunitario), ciò avrebbe avuto un peso importante nella positiva conclusione della vertenza. Le aziende che investono nella creazione del proprio website – sentito il parere del proprio Consulente in P.I. – dovrebbero quindi ogni volta possibile tutelare come design il c.d. “look & feel” della pagina web.

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