M. Antonella Incardona, Angela Zampetti, Avvocati e Consulenti in Marchi e Modelli, Luppi & Crugnola Srl , Modena, Bologna, Milano

A volte il marchio, soprattutto nelle piccole e medie imprese, corrisponde al nome del titolare dell’azienda o comunque reca tale nome all’interno di un segno distintivo complesso. Ma cosa succede quando il titolare esce, completamente o in parte, dalla governance dell’azienda? Il marchio può essere liberamente dato in licenza o ceduto?

Proviamo ad analizzare il caso di un marchio patronimico, provvisto anche di un predicato nobiliare, e delle eventuali conseguenze della perdita di controllo imprenditoriale sullo stesso da parte della famiglia di riferimento.

Il marchio DUCA SELTI viene originariamente depositato in Italia per vini dalla società SL2 SARL, controllata dalla famiglia nobile Selti; nel corso degli anni la famiglia cede la maggioranza delle quote della SL2 ad un’altra società denominata LAR Srl. Dopo qualche tempo SL2 decide di dare in licenza il marchio DUCA SELTI ad una terza società, tale Tassi S.a.r.l.

La famiglia Selti, in quanto socia di minoranza, viene a conoscenza della decisione e vorrebbe opporsi a questo ulteriore passaggio, temendo uno svilimento del marchio e un infangamento del proprio nome.

Che ne è del marchio contenente il patronimico e il predicato nobiliare?

L’iniziale cessione di quote a favore della LAR Srl – atto dispositivo che non ha modificato la SL2, ma solo la sua compagine sociale – non ha riflessi sul marchio (così come sugli altri che fossero stati depositati o concessi): la SL2 continua ad essere la proprietaria del marchio DUCA SELTI.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla famiglia, la registrazione del marchio DUCA SELTI ed il suo uso – ivi compresa la disposizione del diritto in licenza – da parte della SL2 non appaiono contrari al dettato normativo poiché:

(a) la domanda di deposito è stata effettuata a suo tempo da una società che era costituita, prima della cessione delle quote, da soggetti che appartengono alla medesima famiglia di cui al nome Selti;

(b) la legge richiede che sia espresso il consenso dell’avente diritto al nome corrispondente al marchio solo quando tale marchio, depositato da terzi, possa ledere la fama, il credito o il decoro dell’avente diritto;

(c) anche a seguito della cessione delle quote, è comunque rimasta una minima partecipazione societaria di uno dei membri della famiglia Selti che consente di interpretare il marchio e il suo uso a favore della continuità con la stessa famiglia nobiliare.

Sembra difficilmente sostenibile l’ipotesi di un eventuale svilimento del marchio o di una sua decettività (ingannevolezza) sopravvenuta, poiché la licenza è un contratto di per sé neutro e privo di un reale rischio di inganno agli occhi del consumatore. La licenza proposta a favore della Tassi è esclusiva e quindi il licenziatario di fatto di sostituisce al titolare del marchio, subentrandogli nell’uso; l’atto dispositivo della concessione del marchio non può essere considerato fonte di svilimento o di inganno, poiché è solo il successivo uso della licenziatario che potrebbe determinare una sorta di decettività sopravvenuta qualora in relazione al prodotto – nella percezione del pubblico – sia divenuto ingannevole (ad esempio in relazione a qualità non mantenute, o a modalità o contesto di uso).

In sostanza, e tale è anche l’orientamento della giurisprudenza, il contratto dispositivo del marchio può comportare come effetto una decettività del segno qualora per il modo o il contesto di uso esso sia divenuto stabilmente e irrimediabilmente ingannevole.

Applicando tali principi al caso possiamo quindi dedurre che tale ingannevolezza al momento non sussista e che l’operazione della licenza, prima facie, non determini alcun inganno; sarà l’eventuale uso successivo da parte del licenziatario che potrà determinare una decettività del marchio e quindi consentire eventualmente alla famiglia di poter contestare nelle opportune sedi il comportamento del licenziatario.

Anche per quanto attiene al profilo della tutela al nome, quindi sotto l’aspetto civilistico di cui all’art. 6 del Codice Civile, non si ravvisano motivi di contestazione a carico della SL2 poiché tale società usa legittimamente il marchio (per i motivi sopra esposti) e non incorre in alcuna violazione dei diritti della famiglia né dal lato patrimoniale né dal lato morale.

Anche l’ipotesi di una cessione del marchio sarebbe lecita purché, anche secondo recenti decisioni comunitarie, non derivi inganno nei caratteri dei prodotti (o servizi) che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico.

Al verificarsi di tutte le condizioni descritte, il marchio patronimico – anche provvisto di predicato nobiliare – potrà quindi essere ceduto o dato in licenza anche se il soggetto cui il nome e relativo predicato competono diventasse estraneo alla società titolare o ne avesse perso il controllo.

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.