Emidia Di Sabatino, Avvocato – Luppi & Crugnola Srl, Modena, Bologna, Milano

1. Introduzione

In un periodo di grave recessione economica come quello che stiamo vivendo, investire nella scienza e scommettere sull’innovazione può rappresentare una vantaggiosa opportunità di crescita per l’impresa, oltre che un’apertura verso il futuro.
Percorrendo la via della ricerca e dello sviluppo l’impresa avrà l’opportunità di sperimentare l’applicazione di modelli contrattuali e organizzativi idonei a perseguire obiettivi di più ampio respiro, calandosi in una inusuale dimensione collettiva di cooperazione integrata con altre realtà aziendali. Con il risultato positivo di accrescere competitività e credibilità sul mercato senza snaturare e/o perdere, comunque, la propria individualità.
Il contratto di rete, primo fra tutti i modelli di cooperazione esistenti, parrebbe assicurare, proprio per la sua particolare duttilità, un’adeguata tutela anche ai diritti di proprietà industriale[1].
Ai sensi dell’art. 3, comma 4 – ter legge n. 33/2009 “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono il fine di accrescere, individualmente e collettivamente, innovazione e competitività impegnandosi a cooperare scambiandosi informazioni e/o prestazioni di natura commerciale, industriale, tecnica o tecnologica”[2].
Se consideriamo che la proprietà industriale è uno strumento di competizione economica per le imprese e di tutela dell’innovazione appare chiaro, allora, come tra reti di imprese e proprietà industriale esista una forte compenetrazione, tanto che la disciplina dei diritti di proprietà industriale deve essere specificamente regolata nel programma di rete.
I vantaggi della rete sono notevoli: ciascuna impresa avrà accesso ad esperienze, know-how e competenze di altre imprese, potrà ampliare le proprie opportunità di business e aprire a nuovi mercati, contenendo i costi e i rischi che tali operazioni in genere comportano.
Inoltre, potrà migliorare la propria efficienza e flessibilità operativa, avvantaggiarsi della cooperazione per trasformare una soluzione tecnica innovativa in un brevetto per invenzione o modello di utilità o per ampliare la gamma di prodotti e servizi già esistenti e creare un nuovo marchio di rete.
Non dimentichiamoci che le reti senza soggettività giuridica (c.d. rete- contratto) sono state ammesse a partecipare al programma di finanziamento per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020 (operativo dal 1° gennaio 2014 fino al 31 dicembre 2020), il cui principale obiettivo è quello di contribuire a costruire un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione in tutta l’UE, tramite finanziamenti destinati a tre ambiti specifici di intervento: eccellenza scientifica, leadership industriale e sfide per la società[3].
Spostandoci in ambito nazionale è confortante registrare che in Italia le reti di imprese seppure con lentezza, hanno preso ad attecchire.
A quasi cinque anni dalla costituzione della prima rete, le imprese oggi coinvolte sono circa 9.700 (dall’edilizia alla sanità, dal tessile alle nuove tecnologie), per un numero totale di contratti che al primo gennaio 2015 ha toccato quota 1.927.
A livello regionale, la Lombardia è la prima regione italiana per numero di imprese che hanno stipulato un contratto di rete (2.110), seguita da Emilia-Romagna (1.162), Toscana (996) e Veneto (789)[4].
E’ altresì emerso che le imprese in rete presentano un miglior posizionamento competitivo rispetto alle imprese che non hanno optato per tale soluzione e, che, tra le attività svolte l’investimento nella tutela dei diritti di proprietà industriale ha assunto un ruolo di primo piano[5].

2. L’elemento della fiducia tra i partners e la tutela della segretezza

La cultura della rete affonda le proprie radici nei contratti plurilaterali con comunione di scopo e rappresenta un’evoluzione di quel modello di derivazione in considerazione dell’elevato grado di umanizzazione che permea il contratto di rete.
Il collante del processo di aggregazione degli imprenditori aderenti è costituito dalla fiducia che si sviluppa tra gli stessi.
Una rete nasce per effetto di una serie di scambi relazionali tra più soggetti che possono essersi conosciuti nel corso di pregresse esperienze, oppure tra soggetti reclutati per iniziativa di un’impresa capofila che abbia sperimentato precedenti rapporti di business con ciascuno di loro. Indipendentemente da come i legami di base possono essersi sviluppati, il comune denominatore di questo scambio relazionale resta, in ogni caso, il rapporto di fiducia tra i partners.
La crescita dell’innovazione e della competitività che si realizza nella rete o attraverso la rete scaturisce dalla compresenza di due elementi: l’autonomia del singolo e l’interazione tra gli attori coinvolti. Solo attraverso un elevato grado di fiducia tra i partners, tale (apparente) dicotomia può essere superata, affinché l’impresa possa guardare al proprio sviluppo attraverso lo sviluppo della rete stessa.
Con l’avvio dei primi contatti, le imprese aderenti si troveranno in condizione di scambiare informazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica condividendo il proprio background con le altre imprese aderenti per stabilire le linee di quello che dovrà essere il programma di rete. In questa fase, fra le altre cose, saranno avviate le prime collaborazioni, si stabiliranno sinergie su contratti commerciali, si discuteranno i progetti da condividere, potranno essere definite offerte complementari.
Delicato è, pertanto, l’equilibrio tra l’interesse della rete alla condivisione del know-how di ciascun partecipante attinente all’attività della rete e l’interesse della singola impresa alla difesa del proprie conoscenze e/o esperienze tecnico – industriali e al mantenimento del proprio vantaggio differenziale sul mercato.
La condivisione delle informazioni riservate incrementa il know-how originario e non contribuisce a depauperarlo, come si potrebbe pensare, creando, in tal modo, un vantaggio competitivo per tutti i soggetti della rete[6].
Anzi, l’ampia autonomia privata riconosciuta alle parti consente di gestire, in base alle specifiche esigenze della rete, la disciplina della segretezza, rendendo più stabili ed affidabili i legami di condivisione tra gli attori i quali potranno prevedere, di comune accordo tra di loro, appropriate clausole e/o accordi ad hoc.
Già in fase pre-contrattuale di aggregazione, sarebbe opportuno stipulare accordi di riservatezza a latere del contratto di rete nei quali specificare che la titolarità della informazione scambiata resta in capo all’impresa titolare.
La trasmissione di tali informazioni non costituisce, infatti, alcun implicito riconoscimento e/o trasferimento di qualsivoglia diritto da parte della impresa titolare in favore delle imprese riceventi; le informazioni e/o i dati contenuti e/o comunque appresi direttamente o indirettamente in fase di aggregazione non potranno essere divulgati, rivelati, né comunicati a soggetti terzi e dovranno essere trattati dai soggetti detentori come informazioni segrete, ai sensi dell’art. 98 C.P.I.
Infine, va detto che l’utilizzo di tali informazioni aziendali riservate è esclusivamente finalizzato, in questa fase, alla verifica della fattibilità del progetto di rete.
Nella fase contrattuale, l’impegno di riservatezza può essere formalizzato nel contratto di rete (costituendo un elemento facoltativo e non obbligatorio dello stesso) e generalmente consiste nel divieto di divulgare e/o comunicare, fuori dalla rete, a terzi estranei alla stessa, per qualsiasi scopo, le informazioni aziendali e/o commerciali scambiate e/o conosciute in occasione della collaborazione in rete, anche dopo la scadenza del contratto di rete.
In questo caso, le informazioni aziendali e/o commerciali riservate dovranno essere utilizzate esclusivamente per realizzare gli obiettivi strategici delle rete e restituite all’impresa titolare insieme alla documentazione ad esse relativa.
E’ opportuno, inoltre, prevedere che ciascuna impresa adotti un sistema di archiviazione separata della documentazione e/o delle informazioni relative all’attività della rete rispetto a quelle dell’impresa stessa, per avere un maggiore e più efficace controllo e impedire accessi indesiderati. Infine, è consigliabile prevedere che l’obbligo di segretezza vincoli chiunque partecipi all’esecuzione del progetto di rete, dipendenti, consulenti o altro.

3. Le tipologie di rete

Seguendo l’impostazione della più autorevole dottrina è opportuno analizzare partitamente tre tipologie di rete, cioè la rete – soggetto, la rete – contratto e la rete – patrimonio[7] .
Ai sensi del comma 4-quater dalla Legge 134/2012 «se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; con l’iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista soggettività giuridica».
Stando alla disposizione citata, con l’iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista soggettività giuridica e diventa un autonomo soggetto di diritto che acquista i diritti di proprietà industriale e a titolo derivativo e/o originario come tutti gli altri soggetti.
Per meglio intenderci, la rete – soggetto può acquistare, a titolo originario ed in via esclusiva diritti su invenzioni, modelli di utilità, software, marchi o, comunque, innovazioni immateriali suscettibili di essere tutelate come diritto di proprietà industriale e derivanti da attività programmate e/o svolte da lavoratori inseriti nella organizzazione aziendale gestita dalla rete.
La rete può anche acquistare diritti di proprietà industriale a titolo derivativo, per effetto di un trasferimento da parte di terzi esterni alla rete, oppure ottenerne il diritto d’uso in forza di un contratto di licenza stipulato con un terzo, con facoltà di sub – licenza in favore degli aderenti alla rete.
L’ipotesi prefigurata è la più semplice sul piano operativo, posto che la rete-soggetto potrà regolare contrattualmente la concessione ai propri aderenti del diritto d’uso del diritto di proprietà industriale conseguito a titolo originario o in via derivativa, in base ad appositi accordi contrattuali a latere del contratto di rete.
La prassi mostra come tale ipotesi, però, sia la meno diffusa, dal momento che le imprese aderenti non hanno il minimo interesse a che la rete acquisti la soggettività giuridica, non risultando conveniente dal punto di vista fiscale, per gli oneri amministrativi e burocratici che tale riconoscimento comporta [8].
Sicuramente più complesso, sotto il profilo della disciplina e della gestione dei diritti di proprietà industriale è il caso della rete- contratto.
In tale ipotesi potrebbe verificarsi che talune (o tutte) le imprese aderenti siano titolari in via autonoma di diritti di proprietà industriale e che dette imprese concedano in uso tali diritti agli altri aderenti per mezzo di contratti di licenza o sub – licenza, oppure potrebbe configurarsi un’ipotesi di comunione di diritti di proprietà industriale in capo a tutti gli aderenti o a taluni di essi su diritti di proprietà industriale derivanti dall’attività svolta in comune in base al programma di rete.
Il rifermento normativo da cui prendere le mosse è costituito dall’art. 6, I comma, C.P.I. che in tema di comunione o contitolarità dei diritti di proprietà industriale stabilisce che:”se un diritto di proprietà industriale appartiene a più soggetti, le facoltà relative sono regolate, salvo convenzioni in contrario, dalle disposizioni del codice civile relative alla comunione in quanto compatibili”[9].
Secondo un autorevole orientamento dottrinale, il rinvio alla comunione civilistica sarebbe del tutto inappropriato, vista l’incompatibilità con la materia della proprietà industriale: i diritti di proprietà industriale, si è detto, conferiscono al titolare il diritto di impedire ad altri certe attività, salvo il proprio consenso e non conferiscono facoltà positive di godere e di disporre di un certo bene della vita, sicché se ne dovrebbe argomentare l’incompatibilità[10].
Partendo dal presupposto che i diritti di proprietà industriale sono diritti di esclusiva che attribuiscono al titolare il potere di essere il solo a godere del bene, si comprenderà bene come non possa essere ammesso, pur trattandosi di beni immateriali, un uso plurimo indipendente di un diritto di proprietà industriale da parte delle imprese aderenti.
In ogni caso, tentando un’operazione di salvataggio delle norme civilistiche in tema di comunione, potremmo sostenere che, ai sensi dell’art. 1108 c.c., il contitolare di un brevetto non possa sfruttare unilateralmente l’invenzione, né concederla in licenza a terzi, salvo che a ciò venga autorizzato dagli altri contitolari.
Sempre in tale ottica, per regolare la paternità e il diritto di sfruttamento economico di un diritto di proprietà industriale in comunione, potrebbe risultare funzionale il principio di uguaglianza espresso dall’art. 1101 c.c. ai sensi del quale «le quote dei partecipanti alla comunione si presumono uguali e il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi come nei pesi della comunione è in proporzione delle rispettive quote».
In base alla disposizione citata, le quote dei partecipanti si presumono uguali, salvo che non sia diversamente stabilito nel programma di rete che potrebbe, infatti, prevedere una suddivisione di introiti e costi in base al contributo che le singole imprese aderenti hanno apportato nell’attività di ricerca e sviluppo.
La soluzione migliore appare quella di sfruttare l’inciso “salvo convenzioni in contrario” contenuto nell’art. 6 C.P.I. e quindi di adottare convenzioni private derogatorie, regolando ex ante nel contratto di rete o in appositi accordi la materia della proprietà industriale.
Ciò detto, resta ancora inesplorata l’ipotesi della rete – patrimonio autonomo[11].
I contratti di rete prevedono la possibilità di costituire, a scelta, un fondo patrimoniale comune, attraverso conferimenti in denaro o in risorse immateriali incorporate o meno in diritti proprietari versati dei partecipanti. In particolare, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, il programma di rete dovrà indicare “la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato, costituito ai sensi dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile” (cfr. art. 3, comma 4-ter, secondo periodo lettera c) della Legge 33/2009)[12].
Il termine “conferimenti” è qui utilizzato in senso atecnico: può essere oggetto di conferimento iniziale (o meglio di apporto) qualsiasi entità materiale e/o immateriale suscettibile di valutazione economica o, comunque, di apprezzamento in termini di funzionalità o strumentalità al perseguimento dello scopo comune e/o alla realizzazione del programma di rete e, quindi, anche prestazioni d’opera, know-how, marchi, banche dati commerciali, brevetti, crediti, immobili etc.
Se previsto dal programma di rete, l’esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato, ossia vincolato allo scopo della rete.
Il fondo di dotazione non sarà composto esclusivamente degli apporti iniziali degli aderenti, dovendosi estendere anche ai frutti degli apporti e ai risultati dell’attività svolta secondo il programma di rete, oltre che a eventuali contributi successivi.
Al riguardo, mi pare il caso di notare che gli acquisti che saranno effettuati dall’organo comune – benché in regime di contitolarità in capo agli imprenditori aderenti- saranno comunque sottoposti al vincolo di destinazione. Una soluzione differente, d’altronde, male si concilia con quanto stabilito dall’art. 3, comma 4-ter, Legge 33/2009 secondo cui “al fondo patrimoniale comune si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615, secondo comma, del codice civile; in ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune”.
Gli aderenti che intendano conferire diritti di proprietà industriale sono tenuti a verificare lo status dei diritti conferiti e l’eventuale interferenza tra i gli stessi, oltre che di quelli che si è deciso di non conferire, approfondendo, per intenderci, se si tratta di un marchio depositato, registrato, usato di fatto oppure di un brevetto pubblicato, in regime di segretezza, concesso; di Know -how e/o di informazioni segrete, al fine di prevenire conflitti e definire ex ante strategie di tutela mediante accordi di coesistenza, patent pooling, cross licensing, lettere di consenso, contratti di licenza, o mediante la regolamentazione delle quote dei diritti in comunione a seconda dei casi.

4. Il programma di rete e il suo contenuto possibile.

Tra i contenuti obbligatori del contratto di rete, l’art. 3, comma 4-ter lett. C) legge 33/2009, successive modifiche prevede “la definizione di un programma di rete che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune a tutti i partecipanti[13].
Il programma di rete definisce le attività con gli obiettivi strategici, le modalità concordate per la realizzazione dello scopo comune, la destinazione e l’impiego delle risorse finanziarie, le modalità per misurare l’avanzamento verso gli obiettivi strategici.
In particolare, può contenere la disciplina dei diritti di proprietà industriale, con particolare riguardo, fra l’altro, agli aspetti della titolarità, della gestione, al regime di comunione e al marchio collettivo o individuale della rete (titolarità, modalità di utilizzo, sanzioni).

5. Un accenno al marchio di rete

Il marchio di rete ha la funzione di promuovere e di identificare la rete con l’utilizzo di un unico e comune segno distintivo che contraddistingua i prodotti e/o i servizi commercializzati[14].
Il marchio della rete può essere considerato alla stregua di un marchio individuale d’impresa se lo scopo della rete è quello di offrire un prodotto e/o servizio a terzi esterni alla rete, svolgendo, in tal caso, una funzione di garanzia della provenienza imprenditoriale del prodotto. Al contrario, se lo scopo della rete è quello di offrire un prodotto e/o servizio ai soggetti aderenti alla rete, esso può essere trattato come un vero e proprio marchio collettivo, in funzione di garanzia della qualità del prodotto.
Ad ogni modo, la scelta di dotarsi di un brand rappresenta una notevolissima opportunità per una rete, in particolar modo, sotto il profilo dell’immagine commerciale e della visibilità, nonché del posizionamento sul mercato, senza con ciò compromettere, in alcun modo, l’individualità di ciascuna impresa aderente che può continuare, infatti, ad utilizzare il proprio marchio nell’ambito della propria attività d’impresa[15].
Se la rete è un contratto, si profilerebbe un’ipotesi di comunione del marchio in capo agli aderenti titolari della registrazione di marchio o del deposito.
Per semplificare, è consigliabile indicare tale aspetto nel regolamento d’uso, per il marchio collettivo, oppure nel disciplinare d’uso allegato al contratto di rete, per il marchio individuale, specificando che i diritti di sfruttamento del marchio non spettano a tutte le imprese in misura uguale.
Non va trascurato che la possibilità di coesistenza di usi plurimi e non coordinati di marchi identici e/o simili per prodotti identici e/o affini potrebbe determinare un potenziale inganno per il consumatore. In effetti, un inganno per il pubblico si potrebbe profilare nel caso in cui le imprese aderenti non abbiano avuto cura di regolare le modalità di comune utilizzo del marchio di rete. Se consideriamo che la funzione principale del marchio è quella di indicare la provenienza di un determinato prodotto e/o servizio da una determinata fonte produttiva, risulta chiaro che un’indipendente utilizzazione plurima del marchio di rete da parte delle imprese aderenti non potrebbe essere ammissibile.
Al fine di evitare, pertanto, un effettivo rischio di decadenza del marchio per uso ingannevole o sopravvenuta ingannevolezza, è indispensabile prevedere nel regolamento d’uso o disciplinare d’uso le modalità di utilizzo, i controlli e le sanzioni applicabili in caso di violazione.

6. L’organo comune

Ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, della Legge 33/2009 «… L’organo comune agisce in rappresentanza della rete e, salvo che sia diversamente disposto nel contratto, degli imprenditori anche individuali partecipanti al contratto nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito, in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale, nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall’ordinamento, nonché all’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente[16].
In particolare e, fra l’altro, l’organo comune predispone le linee guida e/o i disciplinari e/o i documenti relativi alla qualità del prodotto; verifica la conformità ad essi delle attività e dei metodi di produzione praticati dalle singole imprese aderenti; effettua uno screening dei diritti di proprietà industriale conferiti dagli aderenti; cura le procedure di deposito, rinnovo, e difesa del marchio di rete nelle procedure amministrative, concedendo detto marchio in uso a titolo gratuito agli aderenti per tutta la durata del contratto, attraverso contratti di licenza o sub- licenza. In tale ultima ipotesi, spetta agli aderenti fare in modo che l’organo comune rinunci al marchio di rete con lo scioglimento di essa.
Inoltre, l’organo comune verifica il corretto utilizzo del marchio di rete in conformità al regolamento d’uso e/o disciplinare d’uso; cura lo sviluppo commerciale della rete anche organizzando campagne pubblicitarie e/o di promozione del marchio di rete e dei marchi individuali delle singole imprese.

7. La tutela dei diritti di proprietà industriale nel Programma di ricerca e innovazione Horizon 2020

La relazione tra disciplina e gestione dei diritti di proprietà industriale e modelli organizzativi di cooperazione appare evidente nell’ambito del più recente programma di finanziamento europeo per la ricerca e l’innovazione, Horizon 2020[17].
La sempre maggiore complessità e le dimensioni crescenti dei più recenti progetti europei hanno comportato l’esigenza di regolare, in maniera sempre più dettagliata, i rapporti fra i partners del progetto selezionato per l’assegnazione del contributo, anche tenendo conto della vocazione transnazionale della collaborazione che, come sopra detto, potrebbe anche assumere la forma della rete – contratto.
Horizon 2020 si colloca nel solco di una tendenza manifestatasi a livello europeo alla standardizzazione di modelli contrattuali organizzativi che incorporano la disciplina dei diritti di proprietà industriale nell’ottica di una valorizzazione di profili pro concorrenziali.
La tutela della proprietà industriale in Horizon 2020 segue il progetto nelle sue varie fasi:
fase 1) ideazione del progetto e preparazione della proposta; fase 2) assegnazione del contributo e attuazione del progetto; fase 3) fase successiva alla conclusione del progetto.
Tale flusso continuativo di tutela viene assicurato mediante l’adozione di un collegamento contrattuale tra una Convenzione di sovvenzione (Grant Agreement)[18] stipulata tra i beneficiari del finanziamento e la Commissione Europea, che è un accordo quadro incorporante un livello minimo di tutela dei diritti di proprietà industriale e un accordo consortile (Consortium Agreement) tra i partners del progetto che rimette, invece, all’autonomia privata dei partecipanti la disciplina e la gestione dei diritti di proprietà industriale necessari per il progetto[19]
Per gli aspetti non ricompresi nel Consortium Agreement perché relativi alla successiva fase di attuazione del progetto, saranno stipulati accordi integrativi, nel rispetto della convenzione di sovvenzione e dell’accordo consortile tra i quali, “separate joint agreements” relativi alla comproprietà dei risultati prodotti congiuntamente dai partners.
Si avverte che, per gli aspetti non specificamente regolati nel Consortium Agreement, sarà applicata di de fault la disciplina standard contenuta nel Grant Agreement.
I partners del progetto devono indicare nell’accordo la selezione e il trattamento del background di ciascun partner e le modalità di accesso da parte degli altri.
Proprio per questo, il Consortium Agreement o, almeno un suo preliminare, dovrebbe entrare in vigore nella fase di redazione della proposta, o, comunque, prima o contestualmente alla sottoscrizione del Grant Agreement.
Con il termine background dobbiamo intendere qualsivoglia dato, know-how o informazione in qualunque forma o natura (tangibile o intangibile) e relativi diritti appartenenti a ciascun partecipante prima dell’inizio del progetto e necessari per l’attuazione dello stesso.
Nel corso della fase di attuazione del progetto, accanto ai “risultati” tangibili e/o intangibili direttamente riferibili al progetto e proteggibili come brevetti, disegni e modelli, marchi etc. [20] potrebbe anche essere generato un “sideground” cioè un patrimonio collaterale costituito da diritti di proprietà industriale, acquisiti parallelamente al progetto, ma non direttamente relativi ad esso.
Il Consortium. Agreement deve garantire un diritto di accesso minimo: ciascun partecipante può chiedere l’accesso al background e ai risultati degli altri partecipanti per il tempo in cui è necessario per sviluppare la propria parte di progetto, oppure per utilizzare i risultati; la richiesta dovrà essere fatta in forma scritta e il diritto di chiedere l’accesso per lo sfruttamento dei risultati è garantito fino ad 1 anno dopo la conclusione del progetto e può essere esercitato per tutta la durata del brevetto se necessario per lo sfruttamento.
Il diritto di accesso minimo sarà garantito mediante contratti di licenza stipulati con il titolare ma non prevede il diritto di sub – licenziare.
Vale precisato, inoltre, che il diritto di accesso al background e ai risultati di un altro partner per l’esecuzione del progetto è sempre royalty free, per lo sfruttamento commerciale dopo la conclusione del progetto può essere concesso royalty free oppure a condizioni eque e ragionevoli da parte del titolare.
Il Consortium Agreement. va siglato nel “time to grant” cioè nel periodo di tempo che va dalla sottoposizione della proposta alla Commissione Europea alla sottoscrizione del Grant Agreement.[21].
Esso deve contenere le regole tecniche di governance del progetto[22], le regole organizzative[23]; le regole finanziarie[24], la legge applicabile, nonché la disciplina dei diritti di proprietà industriale.
In particolare, nell’accordo dovrà essere indicata la paternità dei diritti di proprietà industriale dei partners, previa valutazione iniziale dei titoli e di eventuali ipotesi di conflitto; la selezione del background preesistente e necessario per il progetto; le condizioni di condivisione e di accesso al background selezionato; la concessione di licenze d’uso, le norme in materia di diffusione e sfruttamento dei risultati, l’aspetto della segretezza.
Nel disciplinare tali aspetti, bisogna tener conto delle regole del Grant Agreement, di quanto riportato nell’Allegato tecnico, della normativa nazionale e comunitaria in materia.
A questo punto del discorso mi pare interessante soffermarmi sulla questione della proprietà dei risultati generati in esecuzione del progetto.
Al riguardo, va detto che il principio da cui partire è quello per cui “la proprietà dei risultati appartiene al partecipante che li ha generati”.
Può tuttavia frequentemente capitare, in considerazione della natura collaborativa dei progetti, che i partecipanti producano i risultati congiuntamente e che il loro personale contributo non possa essere individuato, oppure che non sia possibile separare tali risultati congiunti al fine di chiedere, ottenere o mantenere la corrispondente tutela dei diritti di proprietà industriale.
I partners sono, in tale caso, comproprietari dei risultati congiunti e devono concludere un accordo (“separate joint agreement”) nel quale indicare la ripartizione della proprietà (in quote o per la metà) e le condizioni di esercizio secondo i rispettivi obblighi indicati nell’ambito della convenzione di sovvenzione[25].
Salvo che non sia diversamente stabilito nell’accordo, ciascuno dei comproprietari può concedere licenze non esclusive a terzi per lo sfruttamento congiunto dei risultati, senza il diritto di concedere sub-licenze, a condizione di informare preventivamente gli altri comproprietari e di riconoscergli un equo e ragionevole riconoscimento.
La protezione dei risultati conseguiti non è obbligatoria ma è certamente consigliata.
Suggerisco di scegliere la modalità di protezione più adeguata in relazione alla finalità da perseguire e di proteggere i risultati conseguiti prima di entrare sul mercato o di pubblicare i risultati[26].
Qualora un partecipante ammesso al finanziamento stanziato per il progetto, non intenda tutelare i risultati prodotti, per motivi diversi dall’impossibilità o dalla mancanza di potenziale per lo sfruttamento commerciale o industriale – a meno che non intenda trasferirli ad un altro soggetto giuridico stabilito in uno Stato membro o in un paese associato ai fini della loro protezione- potrà informare di tale sua scelta la Commissione o il pertinente organismo di finanziamento, prima di qualsiasi diffusione relativa a tali risultati i quali possono, con il consenso del partecipante interessato, assumere la proprietà di tali risultati e adottare le misure necessarie per una loro adeguata protezione. Il partecipante può rifiutare di prestare il proprio consenso, solo dimostrando che i suoi interessi legittimi risulterebbero significativamente lesi (ai sensi dell’art. 42 comma II e III Reg. 1290/2013).
Un’ ultima considerazione va dedicata alla fase dello sfruttamento dei risultati, cioè la fase immediatamente successiva all’attuazione del progetto.
Nei quattro anni successivi al completamento del progetto è previsto che i partners si impegnino ad adottare le misure più idonee a garantire lo sfruttamento dei risultati mediante qualsivoglia utilizzazione diretta e/o indiretta di essi; il che a seconda dei casi, potrebbe avvenire mediante la stipula di contratti di licenza o di franchising, oppure con la costituzione di joint venture, o, sempre per fare un esempio, attraverso un trasferimento a terzi di tali risultati, nonché mediante l’utilizzazione diretta di tali risultati in ulteriori ricerche.[27].

[1] Tra i più significativi contributi in argomento segnalo Zanelli P., Reti e contratto di rete, Cedam, 2012; Tunisini A., Capuano G., Arrigo T., Bertani r., Contratto di rete. Lo strumento made in Italy per integrare individualità e aggregazione, Milano, 2013; Cafaggi F., Iamiceli P. e Mosco G.D., Il contratto di rete per la crescita delle imprese Milano, 2012; Maltoni M. – Spada p., Il contratto di rete, Studi e materiali, (del Consiglio nazionale del Notariato) in Studio n. 1/2011; marasà G., Contratti di rete e consorzi in Corr. merito, 2010, 9 e ss; Camardi C., Dalle reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa ì in I Contratti, 10, 2009; CORAPI D., Dal Consorzio al contratto di rete :spunti di riflessione in AA.VV. Le reti e i contratti di rete a cura di IAMICELI P. Torino, 2009.

[2] Ricordo che esistono tre modelli di rete: a) contratto con cui i partecipanti si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese; b) contratto con cui i partecipanti si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica; c) contratto con cui i partecipanti si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Ai fini che ci occupano mi soffermerò, in particolare, sul contratto di rete con cui i partecipanti si obbligano a collaborare, scambiandosi informazioni e/o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica.

[3] Per maggiori informazioni sui soggetti beneficiari, criteri di finanziamento, modalità di partecipazione, lista dei bandi si rinvia alla Guida Pratica Horizon 2020 in http://www.pr.camcom.it/internazionalizzazione/parma-in-europa-news-1/guida-pratica-horizon-2020. In particolare con riferimento ai beneficiari è ammesso a partecipare << Qualsiasi soggetto giuridico, università o centro di ricerca stabilito:-in uno dei 28 Stati membri UE;- in uno dei paesi EFTA/SEE (Norvegia, Islanda e Liechtenstein); in uno dei paesi in via di adesione, paesi candidati e potenziali candidati, conformemente ai principi generali e alle condizioni generali per la partecipazione di questi paesi ai programmi unionali stabiliti nel rispettivo accordo quadro e nelle rispettive decisioni dei consigli di associazione o in accordi analoghi; in uno dei paesi terzi selezionati che soddisfano i seguenti criteri: avere buone capacità in ambito scientifico, tecnologico e innovativo;avere buoni riscontri storici di partecipazione a programmi UE nell’ambito della ricerca e dell’innovazione; avere stretti legami economici e geografici con l’UE. I paesi ICPC (International Cooperation Partner Countries). Le Organizzazioni internazionali d’interesse europeo. Le Organizzazioni internazionali e i soggetti stabiliti in paesi terzi non ICPC solo se previsto dal WP/Accordo bilaterale oppure se essenziale per l’azione. E’ ammessa la partecipazione di: soggetti giuridici sprovvisti di personalità giuridica, purché previsti equivalenti meccanismi di attribuzione della responsabilità contrattuale e finanziaria a carico dei rappresentanti legali e di soggetti giuridici che legalmente non distribuiscono i profitti tra i propri membri o azionisti>>.

[4] Cfr Contratti di rete: su registroimprese.it il software per redigere online l’atto costitutivo in formato standard– Comunicato stampa del 15 gennaio 2015 di Info Imprese. Cfr Circolare n. 3676/C, 8 gennaio 2015, prot. 1189 avente ad oggetto il Decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 gennaio 2015, recante approvazione delle specifiche tecniche relative al modello standard per la trasmissione del contratto di rete al registro delle imprese di cui al DM 122/2014. In base a detta circolare, a partire dal 7 gennaio scorso ,è possibile procedere alla trasmissione per via telematica o alla presentazione su supporto informatico al registro delle imprese dei contratti di rete, senza l’intervento del notaio. Il contratto di rete può essere sottoscritto direttamente tramite firma digitale dei rappresentanti delle imprese partecipanti (dandosi così attuazione a quanto previsto dall’art. 3 comma 4-quater della legge 134/2012 sulla trasmissione dei contratti di rete al registro delle imprese).

[5] L’incremento di investimento in questo settore è evidente per i marchi registrati a livello internazionale il rapporto è di 16,5% vs. 7,1% e per i brevetti richiesti all’EPO di 16,8% vs. 6,4%.

[6] V. TUNISINI A. Ai confini tra industria e terziario: la capacità di cooperare come fonte di vantaggio competitivo dell’impresa in Economia e diritto del terziario, n. 2

[7] Si attesta su questa posizione Spolidoro M.S.“Reti di imprese e diritti di proprietà industriale” relazione presentata al Convegno su “Le reti di imprese” tenutosi a Macerata il 23 maggio 2014 in Riv. dir. ind. n. 4/5, 2014, 245- 265.

[8] In tal senso D’Alvia F. intervento al Convegno “Le reti di imprese” cit. il quale ha fatto notare come solo 105 reti su poco più di 1500 reti censite dalle Camere di Commercio del primo maggio 2014 hanno optato per il conseguimento della soggettività giuridica, non risultando conveniente dal punto di vista fiscale per gli oneri amministrativi e burocratici che essa comporta.

[9] Sull’art. 6 C.P.I. si veda Gandin R. La comunione dei diritti di proprietà industriale, in Dir. industriale italiano a cura di Scuffi M. – Franzosi M. t.1., Diritto sostanziale, Padova, 2014, 95; Bogni M. sub. art. 6 in Codice commentato della proprietà industriale a cura di Galli C. – Gambino A. M, Torino, 2011, 62.

[10] In tal senso Spolidoro “Reti di imprese e diritti di proprietà industriale”cit., 253.

[11] Su tale ipotesi si rinvia ancora a Spolidoro “Reti di imprese e diritti di proprietà industriale”cit. il quale afferma che “le reti- patrimonio dovrebbero essere sostanzialmente persone giuridiche o enti, anche se non hanno la soggettività giuridica intesa come qualificazione formale o lessicale, allo stesso modo in cui le società di persone non hanno la personalità giuridica secondo la terminologia del codice civile, ma, in sostanza, sono soggetti di diritto nello stesso modo in cui lo sono le società di capitali”.

[12] Cfr. art. 3, comma4-ter, Legge 33/2009:«Se il contratto prevede l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e di un organo comune destinato a svolgere un’attività, anche commerciale, con i terzi: 1) la pubblicità di cui al comma 4-quater si intende adempiuta mediante l’iscrizione del contratto; nel registro delle imprese del luogo dove ha sede la rete; 2) al fondo patrimoniale comune si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615, secondo comma, del codice civile; in ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune; 3) entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale l’organo comune redige una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha sede; si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2615-bis, terzo comma, del codice civile». Inoltre, il nuovo periodo aggiunto in calce al comma 4-quater dalla Legge 134/2012 sancisce che “se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; con l’iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista soggettività giuridica”.

[13] Sul programma di rete rinvio alle considerazioni di Zanelli P., Reti e contratto di rete,cit. 188 e ss.

[14] A titolo esemplificativo, si veda il Programma Rete Imprese Iride ove si legge :« nella registrazione di un marchio comune e nell’esercizio di ogni azione di tutela dello stesso. Tale marchio di rete, concepito come elemento rafforzativo dei marchi individuali delle imprese proponenti, sarà opportunamente depositato e registrato secondo le modalità meglio confacenti all’oggetto di business della rete e corredato di apposito disciplinare di uso. La gestione del marchio potrà anche prevedere la costituzione di una società-veicolo preposta alla sua commercializzazione e distribuzione. Tali marchi potranno essere registrati anche come marchi collettivi di rete quali quelli disciplinati dall’art. 11 del Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) e dal D. Lgs. 13 agosto 2010 n. 131».

[15] Tra le reti che hanno pensato di creare un marchio di rete, segnalo la Rete ITC, che tra le principali attività, prevede appunto la promozione del marchio della Rete ITC (registrato in Italia, Unione Europea e India) e dei marchi delle imprese aderenti, attraverso la partecipazione a eventi, fiere, convegni oppure organizzando seminari, workshop e incontri business-to-business; la Rete Cactooos che è titolare della registrazione di marchio Cactooos Engraving Network la. Rete Mech – Net che prevede di «sviluppare un marchio comune riconoscibile da utilizzare durante le principali manifestazioni fieristiche estere».

[16] Tale figura è facoltativa nelle reti leggere (cioè reti non dotate di fondo patrimoniale, né di soggettività giuridica) e obbligatoria nelle reti pesanti (che possono facoltativamente assumere o meno soggettività giuridica con l’iscrizione nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della società (elemento importante che ha significato la riformulazione dell’art. 3 comma 4- quater ad opera dell’art. 36 comma 4 – bis DL 179/2012 conv. Legge n. 221/ 2012).

[17] Per maggiori informazioni su soggetti beneficiari, criteri di finanziamento, modalità di partecipazione, lista dei bandi, si rinvia alla Guida Pratica Horizon 2020 in http://www.pr.camcom.it/internazionalizzazione/parma-in-europa-news-1/guida-pratica-horizon-2020.

[18] V. H2020 Annotated Model Grant Agreement: General MGA, agosto 2014.

[19] La scala gerarchica delle fonti di disciplina dei diritti di proprietà industriale in Horizon 2020 prevede: 1) Norme in materia di partecipazione contenute nel Regolamento. UE n. 1290/2013, dell’11 dicembre 2013 (artt. 41-44 e 45-49) che ha abrogato il regolamento (CE) n. 1906/2006; 2) Grant Agreement (cfr. sez III rights and obligations related to background and results, artt. 23-31 e All ; 1); Consortium Agreement.

Sul Consortium Agreement in generale e sui principali modelli adottati dalla CE si rinvia a AA.VV. Manuale sul Consortium Agreement Linee guida per una lettura critica del Consortium Agreement e dei principali Modelli utilizzati nell’ambito dei progetti finanziati dall’Unione Europea, dicembre 2009, (Gruppo di lavoro CODAU).

[20] Per risultati si intendono produzioni di azioni tangibili es. prototipi o micro organismi e produzioni di azioni intangibili es. know- how e formule e relativi diritti.

[21] V. Fact sheet. “How to manage IP in Horizon 2020: at the grant preparation stage” del marzo 2014, European helpdesk Library

[22] Es: la suddivisione delle competenze; la determinazione del contributo tecnico dei soggetti partecipanti e i criteri di attribuzione delle responsabilità.

[23] Es: la previsione di condizioni di ingresso di nuovi partner; recesso; risoluzione; composizione, attribuzioni, quorum deliberativi e altri aspetti procedurali degli organi.

[24] Mi riferisco ai criteri di ripartizione del contributo finanziario comunitario e all’allocazione di risorse all’interno del gruppo; alla misura di partecipazione economica di ciascun partecipante.

[25] V. Fact Sheet “How to manage IP in Horizon 2020: project implementation and conclusion” giugno 2014 -European IPR helpdesk, pag. 4.

[26] Sul punto Fact Sheet “Open access to publications and data in Horizon 2020” – European helpdesk library .

[27] Ancora Fact Sheet “How to manage IP in Horizon 2020: project implementation and conclusion” cit., pag. 10 e 11.

Comments are closed.