Filippo Canu, Avvocato – FTCC Studio Legale Associato, Milano

Il nuovo Regolamento comunitario 608/2013 (in vigore dal 1.1.2014) ha introdotto procedure semplificate per la distruzione delle merci sospettate di violare diritti IP da parte delle autorità doganali.
Si tratta di norme volte ad accelerare e rendere meno oneroso l’iter per addivenire alla distruzione delle merci qualora vi sia sostanziale accordo tra il titolare di diritti IP (che ne fa istanza) e il proprietario delle merci sospettate di violarli (o il soggetto che ne cura lo sdoganamento) che acconsente (o non si oppone) alla distruzione; nel caso in cui titolare del diritto e il proprietario del bene (o il ‘dichiarante’) confermino per iscritto il consenso alla distruzione (o non notifichino opposizione alla stessa), l’autorità doganale potrà infatti distruggere la merce senza necessità di attendere l’esito di un giudizio di accertamento dell’effettiva violazione del diritto.
Ciò vale, in generale, in base alla c.d. ‘procedura semplificata’ di cui all’art. 23 e, con procedura ulteriormente semplificata, per le spedizioni di massimo n° 3 unità o di peso inferiore ai 2 kg (c.d. ‘piccole spedizioni’) di cui all’art. 26.
Tali procedure semplificate appaiono, almeno teoricamente, molto utili per combattere il commercio di prodotti contraffatti online, ed in linea con i più recenti orientamenti interpretativi della Corte di Giustizia.
In una recentissima decisione (del 6.2.2014 in causa C-98/13, Blomqvist / Rolex) la Corte di Giustizia ha infatti confermato la legittimità della distruzione, da parte dell’autorità doganale, di beni acquistati da privati tramite siti web situati al di fuori della UE (il caso riguardava un cittadino danese che aveva acquistato, tramite un sito web cinese, un orologio Rolex contraffatto, per uso privato; all’arrivo dell’orologio da Hong Kong, le autorità danesi ne avevano sospeso lo svincolo e, su istanza di Rolex SA, richiesto al proprietario il consenso alla distruzione, cui questi si era opposto. In linea con quanto già affermato nel caso Philip/Nokia (CG 1.12.2011 in cause riunite C-446/09 495/09, che riguardava il problema dell’assoggettabilità a tutela doganale delle merci c.d. ‘in transito’), la Corte ha stabilito che il titolare del diritto IP gode della protezione garantita dal regolamento doganale nel momento in cui la merce fa ingresso nel territorio della UE, anche se venduta tramite un sito di vendite online situato in paese extra UE ove il diritto non è tutelato; e ciò per il solo fatto che detta merce è stata acquistata, non essendo necessario che la stessa sia oggetto di un’offerta o di una pubblicità rivolta ai consumatori UE.
Tali novità normative, tuttavia, non sembrano destinate a trovare applicazione in Italia; nella circolare 24/D del 30.12.2013, l’Agenzia delle Dogane ha affermato, infatti, che esse (come già la procedura semplificata prevista dall’abrogato Reg. 1383/2003) sono ‘in contrasto con la normativa nazionale vigente dettata dal codice di procedura penale’.
Non è questa la sede per esaminare il fondamento di tale presa di posizione dell’Agenzia, né possibili soluzioni alternative, pure ipotizzabili ed in parte adottate da talune Procure.
Qui preme rilevare come la disapplicazione di tali procedure semplificate si tradurrà in un’evidente disparità di trattamento, in danno alle imprese italiane (ed anche straniere che vogliano attivare la tutela doganale in Italia), rispetto a quanto avverrà in altri paesi europei e, in sostanza, in un’occasione mancata per agevolare una più efficiente lotta alla contraffazione online.
Appare evidente, infatti, che la possibilità di ottenere più rapidamente (ed economicamente) la distruzione di beni che violano diritti IP, impedendone definitivamente la circolazione, e in particolare la procedura per le piccole spedizioni, potrebbe rappresentare uno strumento aggiuntivo molto utile per combattere il fenomeno, oramai dilagante, delle (unitariamente) piccole (ma cumulativamente ingenti) contraffazioni perpetrate tramite siti di e-commerce, esonerando le imprese dall’affrontare i non indifferenti costi e tempi connessi all’accertamento della violazione dei propri diritti (accertamento che, in Italia, avviene prevalentemente in sede penale e si traduce spesso in una negata tutela risarcitoria, attesa la prassi del giudice penale di demandare la liquidazione del danno ad ulteriore separato giudizio civile, pur in presenza di costituzione di parte civile e di adeguata prova del danno).
E’ facile prevedere, in tale scenario, che il bilancio costi/benefici indurrà le imprese a non attivarsi in caso di singole o modeste violazioni dei propri diritti perpetrate tramite internet.

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