Andrea Parini, Avvocato – Partner Parini Andreolini Cupido Studio Legale Associato, Milano

In questo articolo trattiamo un caso di “cybersquatting”, nella variante detta “typosquatting”.
Ricordiamo che il “cybersquatting” – neologismo inglese che unisce la radice di “cibernetica” al verbo “to squat” che tra gli altri significati ha anche quello di “occupare abusivamente una casa” – è un fenomeno di accaparramento di nomi a dominio corrispondenti a marchi/nomi altrui. Con tale illecita attività il “cybersquatter” persegue lo scopo di trarre un indebito lucro, rivendendo il dominio a chi ne abbia interesse oppure sfruttando la notorietà del segno distintivo altrui per sviare i visitatori sul proprio sito.
In Italia il fenomeno del cybersquatting è “esploso” nel 1999, quando una modifica legislativa ha consentito ad una singola persona fisica di registrare un numero illimitato di domini. Si sono avute così centinaia di migliaia di richieste di registrazione di nuovi nomi a dominio.it, molte delle quali avanzate nell’ambito di un ben preciso disegno di cybersquatting. Per esempio, una sola persona fisica in brevissimo tempo ha registrato, nel pieno rispetto delle norme allora vigenti, circa 500.000 domini fra cui nomi di marchi noti e di personaggi famosi.
Negli anni successivi le autorità italiane sono corse ai ripari, autorizzando procedure che consentissero ai titolari di nomi e marchi di “riconquistare” i corrispondenti nomi a dominio sottratti, senza affrontare i tempi ed i costi connessi ad una causa ordinaria.
Si è sviluppata allora una forma evoluta e particolarmente maliziosa di cybersquatting detta “typosquatting”, che consiste nella registrazione di un domain name del tutto simile ad un marchio noto, ma contenente un refuso: per esempio DINSEY.COM invece che DISNEY.COM. Il typosquatting può dirottare un ingente numero di visitatori. Una ricerca condotta sul campo ha registrato “jptmail.com“, molto vicino al noto “hotmail.com” (i caratteri “j” e “p” sulla tastiera sono immediatamente alla destra della “h” e della “o” dell’indirizzo originale). Ebbene, questo sito ha dirottato in un anno 3.000 visitatori, pur richiedendo ben due errori di digitazione consecutivi.
Nel caso che trattiamo il marchio contraffatto era quello, in lingua inglese, di una nota marca di elettrodomestici e l’errore di battitura era l’omissione di una “l” muta.
L’utente che commetteva questo errore di battitura/digitazione (“typos” in Inglese) quando digitava l’indirizzo desiderato veniva dirottato sul sito del cybersquatter, che era congegnato in modo tale da far credere all’utente ignaro di essere giunto nel sito desiderato: venivano infatti offerte informazioni circa ricambi ed accessori della marca desiderata, ma vi erano anche “links” che reindirizzavano a negozi on line che vendevano prodotti di concorrenti.
La convenienza del cybersquatter consisteva nel fatto che il proprio sito era un “pay for click site”, ovvero riceveva una somma per ogni contatto reindirizzato ai siti di terze parti.
I titolari del marchio contraffatto avevano promosso un procedimento amministrativo avanti al WIPO che si era concluso con la decisione di trasferire loro il nome di dominio in questione. Ma contro tale decisione il cybersquatter aveva promosso una causa ordinaria avanti il Tribunale di Firenze, sostenendo che il proprio sito svolgeva mera attività informativa. Inoltre, nelle more del processo, aveva modificato il sito mantenendo il domain name ma eliminando ulteriori riferimenti alla marca contraffatta e offrendo “links” a siti che vendevano prodotti diversi da elettrodomestici.
Come difensori dei titolari del marchio abbiamo quindi sostenuto: (a) che il domain name era stato registrato in palese malafede, come accertato dal WIPO, non avendo il cybersquatter alcun diritto o legittimo interesse rispetto al segno registrato come domain name; ( b) che il sito del cyberquatter svolgeva attività commerciale, essendo un “pay for click site” che reindirizzava a siti di vendita on line; (c) che godendo il marchio di rinomanza i titolari potevano opporsi all’adozione di un domain name uguale o simile anche nell’ipotesi di uso per prodotti e servizi non affini, se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio oppure reca pregiudizio agli stessi; e infine, (d) che in qualunque momento il sito del cybersquatter poteva essere riportato alla situazione precedente.
Accogliendo queste difese il Tribunale respingeva le domande del cybersquatter, così confermando la decisione amministrativa che ordinava di trasferire il nome di dominio in questione ai titolari del marchio in questione.

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