Alessio Canova, Trademark Attorney – GIAMBROCONO & C. Spa , Milano
Sono passati poco più di 15 anni da quando l’ICANN ha formalmente ereditato la gestione della rete internet e degli indirizzi IP, eppure in questo breve lasso di tempo i “segni distintivi” (insegne, ditte e, soprattutto, marchi), che prima di allora avevano attraversato i secoli senza particolari traumi o mutazioni, sono stati oggetto di ben due vere e proprie rivoluzioni.
Dapprima con l’avvento dei nomi a dominio, i segni distintivi che contraddistinguono i siti internet.
Ed ora con l’emergente importanza delle cosiddette “Vanity URL” (da ora, VU), i segni distintivi che contraddistinguono gli account dei social network: Facebook, YouTube, Google+ e Twitter su tutti.
Prima della “tipizzazione” dei nomi a dominio internet e del loro ufficiale inserimento nel novero dei segni distintivi con l’introduzione del Codice della Proprietà Industriale[1], la giurisprudenza, pur con qualche inciampo[2], aveva intuito la natura dei domini, assimilandoli agli altri segni distintivi “tipici”. Già nel 1997, infatti, il Tribunale di Milano aveva affermato che il dominio ha una “qualche affinità con la figura dell’insegna, in quanto il sito stesso configura il luogo (virtuale) ove l’imprenditore contatta il cliente fino a concludere con esso il contratto”.
Tale interpretazione è transitata sostanzialmente immutata nell’articolo 22 CPI, in cui si afferma che “è vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo un segno uguale o simile all’altrui marchio”. Appare chiaro come ditta, insegna e dominio siano oggi totalmente parificati[3] nel loro rapporto con la figura del marchio.
Si può quindi concludere che, a pochi anni dalla loro emersione, la giurisprudenza prima ed il legislatore poi abbiamo pienamente compreso e disciplinato i nomi a dominio internet, inquadrandoli nella ben nota categoria dei segni distintivi.
Non solo. In attesa che il processo sopra descritto si completasse, l’ICANN aveva elaborato con il supporto della WIPO un set di norme “pattizie” universalmente applicabili per la gestione delle controversie sui nomi a dominio, poi formalizzate nella UDRP (Uniform Domain-Name Dispute-Resolution Policy), ancora oggi alla base delle varie “procedure di riassegnazione di nomi a dominio” adottate a livello nazionale[4]. Le procedure di riassegnazione hanno avuto il grande merito di costituire uno strumento affidabile ed economico per consentire ai titolari di marchio di recuperare domini registrati in mala fede dai cybersquatter.
La “nuova stabilità” instauratasi a seguito della tipizzazione dei domini come veri e propri segni distintivi è durata solo pochi anni. L’esplosiva popolarità raggiunta da Facebook, non solo come strumento per privati ma anche come mezzo di comunicazione delle imprese, ha reso evidenti due aspetti diametralmente opposti: da un lato, la facilità con la quale è possibile per chiunque registrare e gestire un account, scegliendo un indirizzo univoco (“Vanity URL”, si pensi ad esempio www.facebook.com/cocacola) e, dall’altro lato, la totale assenza di regole privatistiche certe sulla loro gestione in caso di controversie. Ovviamente di fronte ad una violazione dei propri diritti esclusivi, è sempre possibile ricorrere al giudice. Ma ci sono casi in cui non c’è una reale violazione dei diritti di marchio dei rispettivi titolari, ma semplicemente una registrazione in mala fede finalizzata a guadagnare traffico sfruttando la notorietà dei segni distintivi altrui. Cosa fare in tali situazioni? Le VU non si possono “riassegnare”, non si possono vendere, non si possono cedere. Una volta persa, la VU rischia di essere irrecuperabile. Non ci credete? Provate a visitare la pagina www.facebook.com/apple.
Sappiamo che oggi molte aziende comunicano più attraverso i propri canali sui vari social network che non per mezzo del sito internet istituzionale. Si avverte quindi la fortissima esigenza di estendere il modello vincente delle procedure di riassegnazione dei nomi a dominio anche alle VU.
[1] D.Lgs. 10/02/2005, n. 30, aggiornato al D.Lgs. 13/08/2010, n. 131, nonché al D.L. 29/12/2011, n. 216.
[2] Si allude in particolare alla celebre ordinanza del 29/06/2001 del Trib. Firenze in cui si affermava che “la funzione del Domain name System [è] quella di consentire a chiunque di raggiungere una pagina web e, in quanto mezzo operativo e tecnico-logico, non può porsi per esso un problema di violazione del marchio di impresa, della sua denominazione o dei suoi segni distintivi”.
[3] Si veda anche, nella stessa direzione, l’art. 12, § 1, lett. b.
[4] Per la procedura nel nostro Paese, si veda: http://www.nic.it/legale/riassegnazione