Simona Cazzaniga, Massimo Perocco e Matteo Maggio – Avvocati, Studio Legale Sutti, Milano

Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, l‘Italian Sounding è il fenomeno che comprende tutti quei prodotti che fanno riferimento all’Italia, ovvero in massima parte prodotti imitativi (fake italian) che presentano un mix di nomi italiani, loghi, immagini, slogan, colori, chiaramente ed inequivocabilmente afferenti all’Italia, ma che con l’Italia nulla hanno a che vedere.
Casi notori sono quelli di formaggi come il Parmesan negli Stati Uniti, il Parmesao in Brasile, il Regianito in Argentina, vini quali il Barollo o il Cantia, la salsa di pomodoro San Marzano “made in California” o la pasta Milaneza.
Questo tentativo di agganciamento opera sia tramite una comunicazione di tipo testuale che di tipo visivo.
La prima riguarda sia marchio che claim ed è solitamente utilizzata per dare al nome del prodotto un “sapore italiano”: così ad esempio Nespresso evoca il caffé “espresso” in modo diretto ed inequivocabile.
La seconda comprende tanto l’advertising quanto il packaging quali veicolatori di informazioni che indirizzano verso un’origine ben precisa, ad esempio utilizzando elementi richiamanti l’Italia, come classicamente avviene con l’uso dei colori della bandiera italiana o l’accostamento di immagini di prodotti tipici quali basilico-mozzarella-pomodoro in maniera tale da riprodurre l’effetto visivo del tricolore.
È evidente quindi l’intento del prodotto a richiamare quell’italianità tanto ricercata dai consumatori stranieri, anche e soprattutto fuori dai confini del Belpaese.
Tale fenomeno riveste – purtroppo diremmo – un’importanza strategica fondamentale per l’Italia: le ultime stime disponibili parlano infatti di un danno, causato dall’“Italian Sounding” alle imprese nostrane, che si aggira intorno ai 54 miliardi di Euro, ovvero a circa il doppio dell’intero fatturato delle esportazioni dei prodotti italiani originali[1].
I numeri evidenziano così il paradosso del nostro sistema (o meglio della nostra politica) alimentare che appare bifronte:
– nel mercato nazionale, a garanzia del consumatore, applica una rigida normativa – una su tutte quella sul “Made In” – costringendo le imprese italiane a rispettare stringenti requisiti e conseguentemente ad affrontare i relativi alti costi;
– nel mercato estero invece non riesce ancora a dare loro un’adeguata tutela, frustrando così la possibilità di far ivi valere la (vera) italianità dei loro prodotti, conseguentemente non garantendo gli strumenti per una leale concorrenza e falsando quindi il mercato.
Se è vero infatti che la normativa riguardante, ad esempio, concorrenza sleale, marchi collettivi, indicazioni geografiche e denominazioni di origine offre numerosi strumenti alle imprese per difendersi in Italia, lo stesso non avviene quando il danno si realizza al di fuori dei confini nazionali come sempre accade per i prodotti “Italian Sounding”.
Considerate le carenze e/o inadeguatezze delle normative straniere, due sembrano le strade più facilmente percorribili per contrastare l‘Italian Sounding.
1) Una migliore promozione dei prodotti italiani all’estero
L’UIBM ad esempio ha sviluppato un progetto di promozione e valorizzazione dei prodotti agroalimentari italiani attuato nel 2011 in Canada e nel 2013 in Russia.
Inoltre è in corso di esame in Commissione Industria Commercio e Turismo il DDL 1061 del 26/09/13 riguardante proprio l’istituzione del marchio “Italian Quality” che dovrebbe permettere la riconoscibilità dei prodotti originali italiani anche all’estero.
2) La sottoscrizione di accordi ad hoc con i Paesi maggiormente coinvolti dal fenomeno
Sul punto è cruciale la negoziazione in corso tra gli USA – primo mercato mondiale per vino e pasta – e l’Unione Europea del Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (su cui vige ancora il massimo riserbo) che vorrebbe semplificare l’accesso ai rispettivi mercati, ma che dovrà scontrarsi con le forti differenze di tutela dei prodotti agroalimentari esistenti nei rispettivi sistemi legislativi.

[1]     Report Iperico (database Ministero Sviluppo Economico) 2014.

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