Graziano Brogi, Avvocato, Studio APTA
La società Butler Engineering & Marketing S.p.A., costituita nel 1988, opera nel settore delle macchine per il servizio dei pneumatici (smontagomme, equilibratici).
Nel maggio del 1999 deposita il brevetto per invenzione industriale dal titolo “Dispositivo di caricamento e scarico ruote gommate per macchine monta-smontagomme” concesso col n. 1.309.363.
Il brevetto parte da una constatazione molto semplice: il gommista per montare o smontare uno pneumatico deve sollevare la ruota e posizionarla sulla apposita macchina monta/smontagomme. Questa operazione viene ripetuta molte volte nell’arco di una giornata e per svariate tipologie di ruote, alcune delle quali piuttosto pesanti.
A questo problema pratico la società Butler trova una soluzione tecnica assai semplice: la realizzazione di un piccolo telaio che, ancorato al fianco della macchina smontagomme, opportunamente azionato è in grado di sollevare lo pneumatico ribaltandolo sul piano di operatività della macchina e, terminata la lavorazione, di far compiere al medesimo il percorso inverso.
L’importanza del problema tecnico risolto, la sua semplicità ed economicità realizzativa, l’automazione di un’attività gravosa per l’operatore, decretano l’immediato successo del dispositivo che diviene di fatto un accessorio indispensabile per la vendita della macchina monta/smontagomme.
Ed in effetti gli imitatori del brevetto non tardano ad arrivare richiedendo l’avvio di più cause che – superata la fase di conferma della validità del brevetto e di interferenza con l’ambito di protezione del medesimo delle soluzioni similari adottate dai concorrenti – aprono la strada alla quantificazione del danno da contraffazione che, liquidato con criteri evoluti ed attenti, sfocia in cifre importanti.
Un primo significativo aspetto su cui ben presto si polarizza l’attenzione per la quantificazione del danno fu la tipologia di vendite da prendere in considerazione.
Il sollevatore in questione, come detto, costituisce un accessorio funzionalmente e strutturalmente legato alla macchina a cui accede, ma un accessorio di estrema importanza per le vendite della macchina stessa.
In particolare dall’esame della contabilità del primo contraffattore, la società C., già nel 2000 (ad un anno dal deposito del brevetto venne avviata la causa di contraffazione), emerse che il sollevatore in violazione del brevetto veniva venduto (a) separatamente, (b) assieme alla macchina specificando nella fattura di vendita il costo del sollevatore e quello della macchina oppure (c) assieme alla macchina senza specificare il valore del sollevatore, come omaggio all’acquirente della macchina.
Se nella quantificazione del danno era certo che si doveva tenere conto sia dei ricavi derivanti dalla vendita del sollevatore da solo o unitamente alla macchina con fattura in cui ne era indicato il prezzo, si pose il problema se dovessero essere considerate anche le vendite della macchina col sollevatore, ma senza che nella fattura ne fosse specificato il prezzo o addirittura indicato come omaggio.
Il Tribunale di Bologna (sentenza n. 1384 del 6-10 maggio 2010, confermata dalla sentenza n. 288 del 12-18 febbraio 2016 della Corte d’Appello di Bologna) ha ritenuto che in quest’ultimo caso il sollevatore, elemento la cui utilità è esclusivamente legata alla macchina, costituisce un accessorio trainante delle vendite della macchina (c.d. convoyed sales), tale per cui il consumatore si determina all’acquisto della stessa per la significativa e apprezzata presenza del sollevatore.
Conseguentemente il perimetro della quantificazione del danno doveva considerare anche questa importantissima componente delle vendite, tanto più che il brevetto rivendica l’esclusiva anche della macchina smontagomme in quanto munita del sollevatore oggetto del brevetto.
Ciò detto, non essendo all’epoca della prima sentenza ancora previsto il criterio della retroversione degli utili, i giudici nelle due sentenze richiamate hanno, in primo luogo, valorizzato il fatto che le vendite di Butler non fossero decollate nonostante la complessiva crescita aziendale, che il contraffattore C. praticasse un prezzo notevolmente inferiore dello smontagomme (non avendo affrontato costi di ricerca e brevettazione), che le aziende operassero nello stesso mercato, che il periodo di contraffazione avesse avuto durata pluriennale, che sul mercato non vi erano alternative e che il brevetto era ai primi anni di vita. Su questo sfondo, per quantificare il danno è stato ritenuto utilizzabile il criterio equitativo dell’“equo prezzo del consenso”, vale a dire della ragionevole royalty che il contraffattore avrebbe dovuto pagare per sfruttare il brevetto (aspetto ora espressamente previsto dall’art. 125, 2° comma, cpi). A tale scopo sono state individuate le royalties del 7,5% per le vendite del sollevatore e del 3,5% per il prezzo delle macchine vendute col sollevatore in omaggio: il tutto ha portato ad una condanna del contraffattore al risarcimento di un danno di oltre 500.000 Euro.
In una seconda (successiva) causa, avviata nel 2009 nei confronti di un diverso contraffattore G. del medesimo brevetto, il danno – a fronte dell’introduzione dell’art. 125, 3° comma, cpi – è stato determinato seguendo il diverso criterio della retroversione degli utili realizzati dall’autore della violazione.
In particolare, la sentenza n. 12104 del 9 settembre 2013 del Tribunale di Bologna ha stabilito che il criterio della retroversione degli utili costituisce un criterio di risarcimento del danno che è scollegato dalla quantificazione del lucro cessante effettivamente subito dal titolare del brevetto: secondo tale criterio normativo, la ricostruzione quantitativa del danno deve essere infatti effettuata unicamente con riferimento agli utili realizzati “dall’autore della violazione”, indipendentemente dal fatto che questi superino anche ogni ipotizzabile lucro cessante del titolare del brevetto che subisce la contraffazione.
Quanto alla base di calcolo il Tribunale ha ritenuto, ugualmente al precedente caso, che dovessero essere presi in considerazione non solo le vendite dei sollevatori, ma anche le vendite delle macchine con installato il medesimo.
Sotto il profilo della determinazione dell’utile del contraffattore il Tribunale, seguendo una impostazione che appare ormai prevalente, ha seguito il criterio c.d. del margine operativo lordo (MOL) che, come è noto, consiste nella differenza fra i ricavi realizzati dalla vendita dei prodotti in contraffazione e i costi variabili riconducibili alla specifica produzione di detti prodotti, con esclusione quindi dei c.d. costi fissi, vale a dire dei costi che la società avrebbe in ogni caso sostenuto.
Sulla base di queste premesse normative e di metodo il Tribunale ha quantificato l’utile del contraffattore G. in un importo di poco inferiore ad Euro 1.700.000 condannando lo stesso alla retroversione di detto utile in favore di Butler.